Recensione di ‘Jim’s Story’: un protagonista impassibile pesa sul melodramma sentimentale francese dei fratelli Larrieu

L’ultimo film di Arnaud Larrieu e Jean-Marie Larrieu, “Jim’s Story”, non segue Jim, ma piuttosto Aymeric (Karim Leklou). Piuttosto, è seguendo la storia di Aymeric che si sviluppa la storia di Jim. Ciò significa che né nel titolo né nella struttura narrativa questo dramma francese si lascia trasportare dal suo protagonista. Questo adattamento del romanzo omonimo di Pierric Bailly (“Le Roman de Jim”) presenta Aymeric come un personaggio abbastanza inerte a cui accadono gli eventi. La sua costante inazione neutralizza ripetutamente emotivamente questo melodramma padre-figlio che dura da decenni, con un effetto distanziante che mantiene il suo personaggio a una distanza indesiderata.

La storia di Jim, della persona che diventerà Jim, inizia molto prima che lui nascesse. Tutto inizia quando sua madre Florence (Laetitia Dosch) incontra un suo vecchio collega. Aymeric, aveva sentito, stava scontando una pena. Eppure eccolo qui adesso, apparentemente impassibile per essersi preso la colpa di un reato minorile che lo ha lasciato alla deriva, insicuro di ciò che verrà dopo o di ciò che deve ancora venire. Florence è incinta di sei mesi e trova il mite Aymeric piuttosto amichevole. L’esatto contrario del padre del suo bambino non ancora nato (un uomo sposato che ha fatto capire chiaramente che non avrebbe lasciato moglie e figli per Firenze). Presto i due andranno a vivere insieme e alleveranno il figlio di Florence, Jim, come se fosse il loro figlio nella casa di campagna di sua madre, sul fianco del monte Giura.

La loro è una vita idilliaca. O sembra che lo sia. Il giovane Jim (Eol Personne), che vediamo presto diventare un ragazzo giocoso e sicuro di sé, sembra soddisfatto della sua vita. Ama passare il tempo con Aymeric, l’unico padre che conosce e il cui approccio infantile e con gli occhi spalancati al mondo che lo circonda lo guida e ispira. Ma quando il vecchio amore di Florence ritorna nelle loro vite e le sconvolge a sua volta, Aymeric fatica a decidere cosa fare con una vita che potrebbe non includere più Jim. Il ragazzo che ha cresciuto come suo scompare presto dalla sua vita, per poi ritornare da lui più di due decenni dopo, quando segreti e rancori vengono scoperti in modo che il vecchio Jim (Andranic Manet) possa fare pace con il “primo padre” che ha cresciuto. abbia mai conosciuto. .

Coprendo quasi tre decenni e saldamente ancorato ad Aymeric, “Jim’s Story” non è tanto un termine improprio quanto un’affermazione di tesi; È Jim a plasmare la vita di Aymeric, anche, o soprattutto, dopo la sua assenza. Come concetto narrativo, questo lascia il protagonista dell’ultimo lungometraggio dei fratelli Larrieu ai margini della storia della propria vita. Ogni incidente incitante che fa avanzare la trama di Aymeric sembra che gli sia stato imposto. Fa ben poco per indurlo e ancor meno per combatterlo. Quando Florence ammette di essere pronta per iniziare una nuova vita in Canada con il giovane Jim e il suo padre biologico, Aymeric non protesta. Non combatte. Fa semplicemente pace con la sua decisione e non sa cosa fare quando la loro comunicazione alla fine diminuisce.

L’impassibilità di Aymeric dà in gran parte il tono di “Jim’s Story”. Sa che spesso lascia che la vita gli accada: “Attiro storie complicate e affari dubbi”, dice presto a Florence. E la sua è una storia decisamente complicata, piena di accordi dubbi, ai quali però raramente reagisce. Leklou interpreta Aymeric quasi come un santo sciocco, le cui espressioni con gli occhi da cerbiatto raramente smentiscono qualcosa di più del passivo sconcerto. Non sorprende che Aymeric sia costantemente attratto dalla fotografia, a volte scegliendo di testimoniare piuttosto che agire; osservare invece di agire; cronaca invece di partecipare. E sono proprio quelle fotografie (i loro negativi, appunto) a scandire visivamente il film dei fratelli Larrieau. Queste istantanee offrono scorci del mondo come lo vede Aymeric, della vita che ha costruito con Jim e che, decenni dopo, cercherà di ricostruire per sé e per il figlio a cui è stato costretto a rinunciare.

Fatta eccezione per quei lampi fotografici che invadono lo schermo per brevi secondi alla volta, “Jim’s Story” è raccontata in modo implacabile e semplice. Prendendo spunto dallo stesso Aymeric, il film si svolge con una dolce disinvoltura che trova fluidità pur raccontando una storia piena di lacune. Anche se avanza anno dopo anno, questo lungometraggio francese non sembra mai forzato o tagliato, a testimonianza dell’abile lavoro della montatrice Annette Dutertre.

Invece, essendo una raccolta di momenti cruciali nella vita di Aymeric che tuttavia dipende dalla sua radicata mondanità, “Jim’s Story” ha il ritmo di un romanzo (qui il titolo francese sembra ancora più appropriato) e trova i suoi momenti più ispirati da scene sonore. dove i suoi personaggi, soprattutto Florence, e più tardi la fidanzata di Aymeric Olivia (Sara Giraudeau), esprimono interessanti rimproveri su come possono essere le famiglie “normali” e i percorsi di vita tradizionali.

I vari capitoli della sua vita vogliono formare un commovente ritratto di un uomo, anche di un padre. Tuttavia, l’espressione spesso vuota di Aymeric (per non parlare del suo apparente distacco da ciò che accade intorno a lui) priva il film di un centro più radicato emotivamente. Ciò che sembra una gentile gentilezza a volte sembra anche una mancanza di passione, un nucleo difficile su cui costruire un intero film. E così, mentre “La storia di Jim” si muove verso un epilogo sentimentale che gioca sui cliché dei melodrammi sdolcinati (di segreti di famiglia rivelati e fatali malintesi risolti), non può sfuggire al senso di distacco emotivo su cui si basa.

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